La cittadinanza italiana per diritto di sangue: la ricerca delle radici e una prospettiva per il futuro.

Nei precedenti contributi abbiamo esaminato come richiedere la cittadinanza in virtù della residenza in Italia e il diritto alla cittadinanza che insorge a causa del matrimonio.

In questo terzo appuntamento mi piacerebbe raccontare della cittadinanza jure sanguinis, cioè per “diritto di sangue”. È un argomento che mi affascina, perché richiama in me sentimenti ancestrali connessi alla ricerca delle proprie radici, oltre a realizzare quello che, secondo me, è – o sarebbe – il mo(n)do migliore in cui vivere e cioè in una completa integrazione tra tutti gli esseri umani.

Ma lasciamo queste considerazioni filosofiche e veniamo a quelle, certo meno romantiche, prettamente giuridiche.

La cittadinanza per diritto di sangue è disciplinata dalla Legge n. 91 del 5 febbraio 1992, il cui art. 1 norma l’acquisto della cittadinanza per discendenza da un cittadino italiano che non vi abbia rinunciato. 

Questo tipo di riconoscimento della cittadinanza opera perché essa – in mancanza di rinuncia e/o di naturalizzazione presso un Paese straniero – si trasmette dal genitore (padre o madre che sia) al figlio, poi al nipote, pronipote e così via, senza limiti di generazione.

I discendenti del cittadino italiano, quindi, anche se nati e cresciuti all’estero, potranno essere riconosciuti cittadini italiani, certificando la discendenza in linea retta dall’avo italiano emigrato. 

Nell’ipotesi in cui il ricorrente dimostri che l’avo, cittadino italiano, abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del proprio primo discendente, che non vi siano state interruzioni nella trasmissione della cittadinanza, che sussiste un rapporto di discendenza in linea retta tra il ricorrente e l’avo, la cittadinanza viene riconosciuta. 

La domanda per il riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis può presentarsi in due modi: con istanza al Consolato (se il richiedente risiede all’estero) o al Sindaco del Comune di residenza (se il richiedente risiede in Italia), oppure attraverso un ricorso da proporsi dinanzi al Tribunale Civile del luogo di nascita dell’avo cittadino italiano.

Nel caso della richiesta di riconoscimento effettuata da residenti all’estero, il richiedente si scontra spessissimo con la lunghezza dei tempi di fissazione di un appuntamento da parte del Consolato che – nei casi più estremi (si pensi al Consolato di San Paolo, in Brasile) possono arrivare anche a dodici anni. 

Può quindi essere conveniente, una volta che si è richiesto al Consolato l’appuntamento, agire giudizialmente mediante un avvocato che eserciti in Italia

I richiedenti possono dimostrare l’esistenza del proprio diritto a diventare cittadini italiani tramite i certificati di nascita, matrimonio e morte dei propri avi in linea retta dall’avo originario fino al ricorrente.

Tali documenti, se formati all’estero, devono essere apostillati e tradotti e la traduzione dovrà essere, a sua volta, apostillata.

Generalmente, sono necessari:

  • copia integrale dell’atto di nascita dell’avo italiano emigrato all’estero, rilasciato dal Comune italiano di nascita dell’avo;
  • atti integrali di nascita di tutti i discendenti, in linea retta dall’avo al richiedente, incluso quello del richiedente stesso;
  • atto di matrimonio e certificato di morte dell’avo italiano emigrato all’estero;
  • atti di matrimonio e di morte dei discendenti, in linea retta dall’avo al richiedente, incluso quello del richiedente stesso;
  • certificato di non naturalizzazione, rilasciato dall’autorità dello stato estero;
  • se il richiedente è divorziato o separato, copie autentiche delle sentenze o atti di separazione o divorzio.

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Spesso le linee discendenti non sono però chiare e lineari, perciò bisogna cercare di dimostrare la discendenza attraverso circostanze collaterali o presunzioni e per questo è necessario essere affiancati da un professionista.

Il gioco, però, vale sicuramente la candela: la doppia cittadinanza permetterà alla persona non solo di entrare in Italia, ma anche di viaggiare liberamente nella Comunità europea senza necessità di passaporto.

Che dire, allora, se non bienvenidos, bem vindo, welcome in Italia!!!!

 

Questo articolo è stato redatto per APCLAI dall’avvocata Caterina Caput, dello Studio Legale Caput (www.studiolegalecaput.it), che ringraziamo per la preziosa collaborazione.